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Il Nastro Bianco – Michael Haneke [2009]

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Le tre età dell’uomo

Il Nastro Bianco

In un villaggio del nord della Germania, alle soglie della Prima Guerra Mondiale, alcuni eventi condizionano il quieto trascorrere delle abitudinarie funzioni comunitarie.

Michael Haneke, regista pluripremiato nonché uno dei pochi contemporanei a ragionare sempre e costantemente sulla forma dell’opera, a due soli anni di distanza dal remake del suo stesso film Funny Games, si cimenta nella realizzazione di un sottile thriller ambientato in un’epoca storica neppure così troppo lontana. Non ci sarebbe nulla di male in tutto ciò, se non fosse che Haneke, proprio lui, il pluripremiato, non fa altro che confermare sé stesso e la sua [non] poetica della forma.

Se l’intenzione era di stupire proprio attraverso la forma, c’è riuscito, non c’è dubbio. Meno di altre volte, ma la bellezza d’una fotografia straordinariamente contrastata ed emotivamente oscura dove la luce talvolta squarcia e talvolta accarezza le zone buie, è di sicuro impatto. Si potrebbe richiamare Bergman però il paragone sarebbe un po’ facile e soprattutto estremamente esagerato rispetto allo spessore del film.

Il Nastro Bianco

Il sottile intrigo che si sviluppa è infatti troppo sottile per poter reggere i 140 minuti della durata del film. L’atmosfera è delicata persino quando aspra per i fatti che stanno accadendo ma dentro questa meravigliosa confezione preparata con affascinante carta da regalo d’altri tempi, cosa rimane? La trama così scarna, semplice, lineare, alla quale, tra l’altro, non viene nemmeno dato un epilogo [che non sarebbe un male se non fosse che il regista si ancora disperatamente all’intreccio per cercare di incollare assieme le scene], può davvero interessare lo spettatore?

La messa in scena di episodi di vita di un villaggio d’inizio XXsec. è sensuale, stimola i rimasugli di romantiche fantasie tardottocentesche che l’uomo del XXIsec. non è ancora [fortunatamente] riuscito a scrollarsi via di dosso, ma questo è sufficiente per la creazione d’un’opera di così alto livello come la pretenziosità del regista palesa? Non è soltanto il fatto che allo spettatore poco importa se il medico abbia rapporti incestuosi con la figlia o se il maestro si sposerà con la giovane verginella di turno, è il fatto che dietro all’apparente analisi psicologica, volutamente amplificata dal bianco e nero che arcaicizza e che aiuta la messa in ombra di ciò che non merita di stare sotto la luce [divina, per il contesto storico nel quale illumina], non ci sia in realtà alcuna analisi psicologica.

Il Nastro Bianco

Varie sono le lacune che si sommano alla quella vastissima lasciata dalla trama, debole e già affrontata al cinema in moltissime altre occasioni [Il Villaggio Dei Dannati non era piaciuto abbastanza al regista?]. I primi piani, per esempio. Cinematograficamente vanno benissimo, ma in che modo possono fare presa sullo spettatore? Come possono scavare nell’intimità dei personaggi nel modo in cui sono realizzati? E la sceneggiatura? Perché è così incommensurabilmente superficiale? Perché si ha costantemente la stessa impressione che si ha quando si arriva alla lettura di tre quarti di uno splendido romanzo, dove nulla è ancora successo e dove ci si stupisce che la fine del terzultimo capitolo non sia invece la fine della sola introduzione?

Si prenda, per un semplice esempio, la scena dove un bambino di quattro o cinque anni chiede alla sorella di una decina di anni più vecchia che cosa sia la morte. Affrontare una scena di questo tipo significa inevitabilmente confrontarsi con tutta la facilissima retorica che si può fare a riguardo e nella quale s’incappa con strepitosa facilità, dunque nel momento in cui sceneggiatore e regista hanno optato per l’inserimento di tale scena si saranno posti il problema di come evitare palesi ovvietà. Purtroppo pare che non si siano dati una risposta troppo acuta, dunque il risultato è quello che si vede nel film, ovvero una successione di frasi fatte pronunciate dal bambinello di turno che per il solo fatto che ha la vocina e la faccina da pulcino sperduto non significa che si stia assistendo a chissà quale momento toccante del cinema contemporaneo. La lacrimuccia a coronare il tutto è l’esaltazione di un nulla mascherato da capolavoro per mano del suo stesso creatore. In altri contesti Haneke verrebbe chiamato imbonitore e non cineasta, ma questo è un altro discorso…

Il Nastro Bianco

A fronte di ciò la bella forma insinua il dubbio in noi che ci si trovi di fronte a un bel film, in grado di darci qualcosa, di stimolare un immaginario un po’ sopito dalla fretta che contraddistingue la nostra contemporaneità. Poi, però, la stessa magia che sostiene le lampade durante le scene notturne, svanisce miseramente in momenti d’inutilissimo dialogo come quando il barone viene informato dalla moglie che durante il suo soggiorno italiano oltre a bei paesaggi e un clima mite, ha trovato anche almeno un paio di buone ragione per pensare di non tornare più nella fredda e patronale Germania contadina.

Bisogna ammettere che c’è qualche buona scena che merita d’essere salvata e non solo per la forma. Sono primariamente le scene violente, per poche che siano, ovvero la lite di tre ragazzini per un flauto ai bordi di un laghetto e l’umiliazione verbale che il dottore attua con gradita veemenza nei confronti della sua domestica, arrendevolmente innamorata di lui. Qui salta fuori l’Haneke più crudo, quello del primo Funny Games, meno lusingato dalla commissione americana, quello delle apprezzabili forzature di Niente Da Nascondere e de La Pianista. C’è chi ha intelligentemente visto ne Il Nastro Bianco il germoglio per le represse angherie che condurranno con strepitosa naturalezza alla Seconda Guerra Mondiale, però, secondo questa non errata interpretazione, si potrebbe vedere ogni film, ogni storia, come la causa degli avvenimenti futuri e per questo ogni opera può essere largamente elogiata.

Molto buone le interpretazioni che, come sempre accade agli attori agli ordini di Haneke, infondono veridicità ai loro personaggi. Addirittura, forse, i più convincenti sono i bambini.

Il Nastro Bianco

Il Nastro Bianco è un film esteticamente bello ma che non porta da nessuna parte, è un piedistallo che vorrebbe sostenere sé stesso.

7

Danilo Cardone



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